Mio marito è un robot dal cuore di bit. È uno sviluppatore di realtà virtuale e il computer è un’estensione del suo corpo. Insomma, insieme siamo una coppia di opposti: l’hippie e il robot, il bianco e il nero.
Una sera di poco più di due anni fa, ricevette una videochiamata Skype dall’estero, alla quale rispose in pigiama e sdraiato sul letto, mezzo addormentato, per rendersi poi conto che si trattava di un’offerta di lavoro.
Un mese dopo eravamo due migranti carichi di valigie e speranze, minuscoli e persi in una città per noi enorme e sconosciuta: Londra.
Abbiamo vissuto per due anni in uno studio flat di 20 metri quadrati, con il letto di fianco al fornello e al mini frigorifero, la bicicletta al posto del comodino, la finestra che dava su un tettino di guano e piccioni, a pochi metri dalle finestre del palazzo davanti, senza persiane né tapparelle (addio vergogna), con un bagno minuscolo di 1×2 metri quadrati, senza finestra. L’armadio era così piccolo che non bastava per due persone e dunque era impossibile tenere in casa più di due paia di scarpe a testa, una sola giacca/cappotto per stagione, due/tre paia di pantaloni, qualche maglietta, due/tre maglioni.
È stato necessario cambiare le mie abitudini e trovare l’indispensabile, per vivere bene anche con poco.
In Italia avevo un cassetto solo per riporre le mutande, a Londra avevo un cassetto per tutto. E mi è bastato.
L’idea di fare shopping, che da ragazzina tanto mi piaceva, è subito svanita completamente dalla mia testa per esigenze di spazio e ben presto mi sono accorta che nemmeno mi serviva comprare nuovi vestiti periodicamente, solo per aggiornare il guardaroba. Ho imparato a ricucire e riadattare quelli vecchi. Ho lavato tutto a mano, anche le lenzuola, nella doccia. Niente lavatrice, niente ferro da stiro, niente bidet (trauma), nemmeno un vero forno, niente divano, niente televisione.
Ad ogni rientro in Italia dalla mia famiglia avevo occasione di fermarmi a riflettere su quante cose (spesso inutili) possedevo, che nemmeno ricordavo di avere: tantissime cianfrusaglie, vestiti, scarpe, sciarpe, borse, accessori, trucchi, creme… avevo veramente bisogno di tutta quella roba? Quanti viaggi avrei potuto fare se avessi comprato la metà di tutto quello che ho? Perché fino a quel momento avevo riempito la mia vita di cose materiali piuttosto che di esperienze? Come ho fatto a non rendermene conto prima?
Mi sono dovuta allontanare per vedere meglio, ho dovuto vivere con poco per rendermi conto che avevo troppo.
Non che la vita in quelle condizioni fosse semplice, anzi! Ma non era questo il mio problema principale. Di quello ne parlerò nel prossimo post!
Intanto prova a chiederti: “Cos’è indispensabile per me?”. Porsi questa domanda è un buon esercizio che di tanto in tanto è utile svolgere.